Sono passati solo 6 giorni (domenica 14 maggio) dal servizio de Le Iene sulla Blue whale; l’attenzione mediatica e l’urgenza di far chiarezza sta spingendo molti ad approfondire il “vero” della “notizia”, riposizionando tutta la drammaticità che abbiamo letto e sentito in moltissimi titoli ed articoli della stampa e del web. Letture e filmati che hanno preoccupato e turbato tutti noi.
“Il nome del gioco deriva dallo spiaggiamento dei cetacei che, lasciandosi andare a riva, trovano la morte. Perché l’esito della “sfida” è appunto quello: trovare la morte. Il gioco si articola in 50 prove di pericolosità crescente: il giocatore, una volta accettato di partecipare, non può ritirarsi per le minacce di ritorsione. Le istruzioni per le prove, fornite da un amministratore, consistono in atti di autolesionismo, selfie in situazioni pericolose, uccidere animali e altro ancora. Lo scopo delle prime 49 prove sarebbe quello di plagiare il soggetto, rendendolo facile vittima di una istigazione al suicidi” (laregione.ch.
Possiamo dire di più? Sappiamo di più? Citiamo alcune fonti che abbiamo “indagato ed approfondito”, per quello che abbiamo saputo fare. Sentiamo una grande responsabilità su temi così sensibili e drammatici. Il valore della conoscenza deve coniugarsi con la prudenza della comunicazione.
“… Saldarla (il Blue whale, ndr) con leggerezza a suicidi e autolesionismo ne ha alimentato l’oscuro storytelling, spostando il problema dal fact checking all’antropologia (Simone Cosimi). E’ una domanda puntuale?
A tutti noi auguriamo ( e l’augurio è urgente!) la massima attenzione! Ma iniziamo con la nostra rassegna.
(Il Giornale) – “Il Safer Internet Center sostiene questa tesi e scrive sul suo sito: “Si tratta di un falso sensazionalista rilanciato dai media russi nel maggio 2016 e che è stato recentemente resuscitato. La Blue whale è basata su storie investigative giornalistiche di un gruppo speciale di lavoro nato sotto Putin che ha elaborato un piano attuato dal governo russo per prevenire l’incitamento al suicidio degli adolescenti. Così il governo russo limita, attraverso paura collettiva, l’uso dei social network”.
Ma non solo. Anche Wired associa la Blue whale a una fake news e specifica che il numero di adolescenti morti per suicidio è sempre stato altissimo in Russia e “nessuna prova ha ancora stabilito che i decessi siano aumentati con questo gioco”. Un avvocato intervistato dal sito, quindi, parla semplicemente di fake news: “La Blue whale è una bufala”.
Anche altri organi di informazione – citati da Ilpost – sono arrivati alla conclusione che “è più probabile che una serie di adolescenti, già con pensieri suicidi, si sia ritrovata nello stesso gruppo sui social network e non che sia stato il gruppo della balena blu a spingerli al suicidio”.
Altre indagini – ha spiegato il sito Snopes – sembrano indicare, invece, che dietro a questi gruppi si nascondano spesso persone che vogliono guadagnare soldi attirando iscritti sul proprio gruppo di VK (il Facebook russo ) e non incitando adolescenti al suicidio per motivi occulti. Poi la situazione sarebbe degenerata come dimostrano i fatti di cronaca.
Un elemento sicuramente certo sulla Blue whale è il fatto che la polizia russa ha arrestato una persona con l’accusa di istigazione al suicidio di 16 adolescenti e per aver partecipato alla diffusione del fenomeno. Si chiama Philipp Budeikin, ha 21 anni ed è stato arrestato a San Pietroburgo. Budeikin ha confessato la sua colpevolezza in tribunale: “I ragazzi sono felici di morire. Il mio obiettivo è quello di pulire la società. Ci sono tanti rifiuti biologici”.
Un altro elemento certo è che il primo episodio della Blue whale è stato il suicidio di Irina Palenkova. La sedicenne russa, prima di morire, aveva caricato delle foto e dei video su VK per documentare la sua fine arrivata nel 2015. Palenkova diventò così una sorta di simbolo di un fenomeno online che era già diffuso su VK e che si identificava nella sigla “f57” (Sembra che “f57″ fosse il nome di un gruppo di VK nel quale si raccoglievano contenuti inquietanti e testimonianze di utenti con pensieri suicidi, ndr)”.
Ed ancora:
(Andrea Angiolino) – “Basta una ricerca su Google per capire che l’arresto di Budeikin non è recentissima come sembra dagli articoli appena usciti: se ne parla dal novembre 2016, per esempio qui. Le sue foto girano da allora, per esempio qui. L’imputazione è di essere coinvolto nell’istigazione al suicidio di 15 (e non oltre 150) adolescenti, ma lui dice invece di aver solo sfruttato alcuni suicidi già avvenuti per parlarne in maniera ambigua sui suoi siti creando sensazione e attirando click: una macabra operazione di marketing per raggranellare soldi con le pubblicità. Le autorità russe sembrano temere che ci siano stati plagio e suggestioni, da parte di Budeikin, ma di gioco non parlano. Anche perché il gioco è per definizione un’attività fittizia, cui si aderisce liberamente, separata dalla vita reale, senza conseguenze, dal finale imprevedibile: il presunto Blue Whale del gioco non avrebbe alcuna caratteristica.
Budeikin non viene processato, a quanto se ne sa, mancando le prove. Le sue presunte dichiarazioni sugli “scarti biologici” dell’umanità vengono da un sito russo (https://saint-petersburg.ru/m/society/grachev/353694/) che sostiene di aver intervistato Budeikin qualche giorno prima dell’arresto, ma la sua autenticità è assai dubbia. Anche se a chi opta per il sensazionalismo fa comodo citarle acriticamente”.
(Corriere.it, di Lorenzo Fantoni) – ” Di Blue Whale si parla da almeno un anno, forse di più e la verità è decisamente più complessa di una psicosi da «Internet cattivo» e riguarda più le leggende metropolitane che una presunta setta che incita al suicidio. Oltre a tutto questo, nel 2016 è uscito un film, «Nerve», che per certi versi riprendeva le tematiche di Blue Whale, e si è innescato quindi una sorta di cortocircuito in cui è difficile capire se un caso isolato è diventato leggenda metropolitana, se la leggenda è stata imitata dalla realtà o se è entrata di mezzo anche una strana storia di marketing virale (…).
Blue Whale emerge per la prima volta nel 2016 in un articolo del sito russo Novaya Gazeta a cui si rifanno tutti i siti che ne parlano oggi, che racconta di decine di ragazzi che si sarebbero suicidati nell’arco di sei mesi. L’articolo è perfetto per una condivisione poco attenta ed estremamente virale: le informazioni sono in russo, quindi difficilmente verificabili e contengono un grado di morbosità che ne aumenta le letture, dunque si diffonde a macchia d’olio. Secondo il sito alcuni dei suicidi facevano parte di gruppi su VKontakte, il più diffuso social network russo. Novaya Gazeta parla di almeno otto morti legate a questo gioco, tuttavia una successiva inchiesta di Radio Free Europe non ha trovato riscontri fondati a questa affermazione. I suicidi ci sono stati e VKontakte sarebbe pieno di gente che posta immagini di ferite autoinflitte e chiede di poter giocare a questo gioco, ma paradossalmente sembra tutta una vicenda che si autoalimenta basandosi sulla suggestione.
In molti hanno criticato l’articolo di Novaya Gazeta, sia per la mancanza di dati verificabili, sia perché scambia la causa per l’effetto. Stando a quanto dichiarato infatti molti ragazzi si sarebbero ammazzati seguendo i gruppi su VKontakte che trattano l’argomento, ma è molto più plausibile invece che una persona con tendenze suicide segua forum o comunità online che discutono dell’argomento, piuttosto che lo diventi dopo averle seguite.
Internet è piena di gruppi dedicati al suicidio, alcuni cercano di aiutare i proprio iscritti a non commetterlo, altri sono invece luoghi di incontro per chi cerca consigli su come renderlo indolore o persino qualcuno con cui commetterlo. (…) Col nome di Rina Palenkova si identifica una ragazza che si sarebbe uccisa dopo aver postato una sua foto su VK.com e che avrebbe fatto parte di una specie di culto mai identificato. La sua figura è stata montata e ricondivisa sul social network russo, con tanto di foto scioccanti, video dal sapore esoterico fino a trasformarla in una sorta di oscuro meme del suicidio, perfetto per plagiare persone più deboli e creare sottoculture nocive. Il dubbio che il personaggio di Rina Palenkova sia montato ad arte viene quando nei suoi video notiamo strani simboli che poi si sono rivelati, secondo Meduza, essere il logo di una marca di lingerie.
Sempre secondo Meduza, a complicare ancora di più la situazione c’è l’uso di Blue Whale e della figura della Palenkova per creare degli ARG, ovvero giochi in realtà alternativa, estremamente criptici che mescolano filmati da decifrare, luoghi reali e messaggi in codice e che tendono a calamitare attorno a sé gruppi di appassionati ansiosi di risolverli. C’è quindi il rischio che in alcuni casi le community legate a questi giochi vengano scambiate per gruppi di persone che promuovevano il suicido e Blue Whale.
(…) More Kitov, creatore della community «Sea of Whales», ha dichiarato che gli amministratori del gruppo non avevano nessuna intenzione di spingere i ragazzi al suicidio, cercavano solo di far decollare le proprie pagine. Anche Filip Lis, amministratore della pagina f57, cercava solo un modo per creare velocemente un gruppo con molti iscritti. Del resto in VKontakte, proprio come su Facebook, le pagine molto seguite hanno un grande valore commerciale. E proprio come nascono pagine fan subito dopo la morte di una persona famosa, così Kitov aveva intercettato questa leggenda metropolitana, ne aveva compreso il valore e aveva utilizzato i simboli di riferimento, comprese foto e documenti che sarebbero appartenuti alla Palenkova, per creare pagine da rivendere a miglior offerente.
(…) Secondo i dati ufficiali russi il 62% dei suicidi giovanili avvengono per conflitti con membri della famiglia, amici, insegnanti, insofferenza all’indifferenza altrui o paura di violenza da parte degli adulti. Se analizziamo meglio i dati, il tasso generale di suicidi in questo Paese decresce, ma con una forte impennata di quelli giovanili, con un picco nel 2013 di 461 casi. Questo non vuol dire che Blue Whale si una cosa nata in Russia, ma lì il suo mito ha senza dubbio trovato il terreno di coltura adatto per impiantare delle suggestioni, seppure alimentate da motivazioni spesso più profonde”.
Nel cyberbullismo le vittime vivono pressioni “violente” di natura psicologica, online; pressioni reali, che producono sofferenza intensa, danno psichico elevatissimo. E’ possibile immaginare che un giovane con particolare situazione di fragilità possa subire l’influenza di una serie di condizionamenti.
Nel “Blue whale” sarebbe plausibile una correlazione, non per questo causale.
Una correlazione, terribile per i nostri ragazzi !
Una correlazione che non può essere azzerata, nonostante per alcuni elementi della “notizia” le perplessità sembrano essere tante.